About

Come tutto è iniziato

Non avrei mai immaginato che una vignetta disegnata in un momento di confusione potesse diventare qualcosa di condiviso. E invece è proprio da lì che è iniziato tutto.

Mi chiamo Silvia Fois, sono nata nel 1995 a Oristano (Sardegna) e dal 2014 vivo a Torino.

Da bambina ero molto creativa: disegnavo, ballavo, inventavo storie. Poi ho iniziato a credere che fosse solo un gioco, un lusso destinato a restare ai margini della vita “seria”. Così ho messo tutto da parte e ho scelto di studiare ingegneria informatica, convinta che la sola razionalità mi sarebbe bastata. Ma mi sbagliavo.

Nella confusione del lockdown, ho sentito la necessità di riprendere il disegno e la scrittura. Una vignetta dopo l’altra ho riscoperto quanto mi facesse bene esprimermi: come riaprire un cassetto chiuso da anni e ritrovare qualcosa a cui non poter più rinunciare.

Quello che all’inizio era solo uno sfogo si è presto rivelato altro: il mio modo di tradurre in immagini e parole il bisogno di iperlucidità. Quella spinta a interrogarmi su ogni reazione, a osservare con ostinazione i meccanismi umani, cercando di comprenderli pur sapendo che qualcosa mi sarebbe sempre sfuggito. 

The Hidden Seed è nato lì: non da un progetto, ma dal bisogno di dare forma al sentire e di disinnescare i pensieri. All’inizio era solo mio, una valvola di sfogo priva di qualsiasi ambizione.



Quando è diventato collettivo

Poi qualcosa è successo: le persone hanno iniziato a riconoscersi. Le paranoie relazionali, la ricerca di un senso, il desiderio di approvazione e perfino il bisogno di dare un nome alle cose… non mi rendevano sola. Né strana.

Mi hanno fatto scoprire che là fuori c’erano persone come me. Con cui potermi confrontare senza vergogna. Da cui potevo ricevere vicinanza e comprensione, offrendo in cambio rappresentazione e onestà. A volte contorta, ma sempre nuda.

Quello che era un angolo privato è diventato uno spazio condiviso: abitato da chi guarda al mondo con cinismo, ma sa ancora ridere della propria disillusione; da chi non può fare a meno di filtrare il sentire attraverso la razionalità. Da chi si pone continuamente domande e probabilmente non smetterà mai.

The Hidden Seed è diventato un linguaggio.

E chi lo ha capito, in fondo, lo parlava già.



Un progetto in evoluzione

Col tempo ho capito che non tutto poteva restare confinato nello spazio digitale. Alcune cose chiedevano di diventare fisiche: di poter essere indossate, ascoltate, portate con sé.

Così The Hidden Seed ha iniziato a vivere anche fuori dallo schermo. Stessa lingua, nuovi mezzi. Da qui nasce questo spazio fatto di oggetti emotivi: piccoli segnali per chi ha bisogno di un appiglio, di qualcosa che quando serve dica “Ti vedo.”

The Hidden Seed non è un progetto finito. Come le vite che racconta, si sposta, inciampa, si trasforma. Cresce insieme a chi lo incontra e con le domande che raccoglie lungo il cammino.

Al di là dell’evoluzione, l’intento resta chiaro: essere un luogo in cui sentirsi compresi. Dove le immagini non ornano né detengono l'assoluta verità, ma suscitano domande su ciò che spesso resta nell’ombra. 

Perché per capire, a volte, non serve una risposta preconfezionata, ma il coraggio di guardarsi più a fondo.